lunedì 13 dicembre 2021

Per chi suona la campana

 



Era un po’ di tempo che avevo in mente quel versetto di John Donne, ripreso da Hemingway in “Per chi suona la campana”, che recita. 

Nessun uomo è un’isola.. Io sono partecipe dell’umanità ed ogni morte di uomo mi diminuisce, perciò non mandare mai a chieder per chi suona la campana, essa suona per te”, e, seppure ne condividessi totalmente lo spirito, mi sembrava che in qualche modo fosse in contrasto con la parola di Gesù.
E questa sensazione mi turbava.
Eppure John Donne, poeta a cavallo tra il 5/600, era stato il decano della cattedrale di S. Paul ed aveva scritto poesie e sermoni che certo non erano in contrasto con il Vangelo.
Incuriosito da quella strana sensazione mi venne voglia di leggere per intero quei versi da cui Hemingway aveva tratto quel versetto. Essi così recitano.

“Nessun uomo è un’isola intero in se stesso,  ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della terra. Se una zolla viene portata dall’onda nel mare, l’Europa ne è diminuita, come se un promontorio fosse stato al suo posto, o una magione amica o la tua stessa casa. Io sono partecipe dell’umanità, ed ogni morte di uomo mi diminuisce, perciò non mandate mai a chiedere per chi suona la campana, essa suona per te”

Mi ricordai allora di aver letto un libro di Thomas Merton,  il cui titolo era appunto “Nessun uomo è un’isola” del quale in internet trovai questa frase che ne spiegava il titolo.
“Quello che faccio viene dunque fatto per gli altri, con loro e per loro: quello che essi fanno viene fatto in me, da me e per me. Ma ad ognuno resta la responsabilità della parte che egli ha nella vita dell’intero corpo”
Seppure anche Merton, morto nel 1968, fosse stato in vita un religioso, era un frate trappista, il ché mi avrebbe dovuto assicurare circa la ortodossia del suo pensiero religioso, quella sensazione di incertezza si focalizzò sul significato profondo che sentivo che si celava tanto in Donne che in Merton; senza però riuscire a chiarirla a me stesso
Così decisi di parlarne con il mio Angelo.

La serietà con cui ascoltò le mie parole e la pausa che ne seguì prima che incominciasse a parlare, mi diedero subito la misura dell’importanza del mio dubbio.
Poi, senza neppure l’ombra del sorriso con cui accompagnava sempre le sue risposte, prese a dirmi.

Il tuo dubbio è fondato, ma non riguarda lo spirito che guidò quei due religiosi quando scrissero quelle parole, perché tutta la loro vita, come tu stesso hai rilevato, fu vissuta nello spirito del Vangelo.
E neppure il senso profondo di quelle parole, che tanto ti turbano, legittima quel turbamento.
Quello che ti turba è come l’assenza di Dio che sembra trasparirne, non ti impedisca di condividerle.
Questa condivisione ti crea quel turbamento che mi hai rappresentato.”
Seguì un silenzio pensieroso, quindi proseguì.

“Ma quel turbamento è legittimo perché effettivamente in quelle parole, seppure bellissime e condivisibili da ogni buon cristiano, manca la luce della salvezza che Gesù ha predicato.
Ci invitano infatti a sentirci un tutt’uno con il resto dell’umanità, e questo sentimento è possibile solo se supportato da un grande amore per il prossimo, che altro non è che il comandamento primo dettato da Gesù.
E questo spiega la condivisibilità immediata che se ne ha.
Ma poi subentra, inconsciamente nel tuo caso, quel turbamento che non sei riuscito a spiegarti, dovuto, come ti ho detto, all’assenza di Dio nel mondo che quelle parole descrivono.
Un mondo d’amore, certo, ma limitato alla sola umanità, senza alcuna uscita al di fuori di questa.
Un amore, in definitiva, dell’uomo e per l’uomo e quindi destinato a morire con l’uomo stesso.
Nessuna salvezza quindi per quell’amore oltre la morte.
Gesù sembra non essere mai esistito.
Ma non è tanto questa considerazione che ti ha turbato, perché la tua fede l’ha istantaneamente rifiutata, quanto quella che altrettanto istintivamente hai intuito essere la costante di quelle persone che pur con dispiacere, dichiarato o comunque sentito, affermano di non riuscire a credere in Cristo.
Persone la cui vita in ultima analisi è simile alla tua, che cerchi di seguire la parola del Signore.
Ed allora ti domandi come possa essere condannabile tale vita, se è stata pervasa da quell’amore che le parole di Donne e Merton hanno descritto?
E’ una domanda terribile alla quale solo la giustizia del Signore darà risposta.
E tu questo lo sai perfettamente, ma ciò non ostante il turbamento permane.
Io credo che ciò avvenga, ed è giusto che sia così, non solo e non tanto per l’amore che ti lega a quelle persone, quanto, e ciò non è giusto, per il dubbio che Satana ha insinuato in te, proprio attraverso quell’amore, circa la giustizia del Signore.
Solo la piena consapevolezza dell’assoluta perfezione di quella giustizia potrà restituirti quella serenità che ti sembra di aver perduto.
Hai subito una delle tante tentazioni del maligno, la cui potenza è superiore alle tue possibilità di resistenza senza l’aiuto del Signore.
Quindi, parafrasando proprio il versetto di Donne, non domandarti per chi suona la campana, perché se da una lato è vero che suona per te in quanto partecipe dell’umanità, ciò avviene non solo perché tu non sei un’isola, ma perché la giustizia del Signore ha stabilito che suonasse.
Il perché neanche Donne lo ha affrontato, consapevole che la risposta è insita in un atto di fede che il Signore ha chiesto a ciascuno di noi.
Quei versi infatti si rivolgono a coloro che, non credendo, mandano a chiedere per chi suona la campana, e costituiscono meravigliosamente il primo passo che quelli devono fare per giungere a quel Gesù cui non credono.
Donne infatti dichiarando che la campana suona per te in quanto partecipe dell’umanità, ti carica anche del conseguente dolore, ma poiché questo trova unica ragione nell’esistenza un precedente amore, e poiché colui che manda a chiedere per chi suona la campana dimostra inequivocabilmente un interesse per quella morte, questo interesse, ove non sia frutto di mera curiosità, non potrà che avere natura sentimentale ,ovverosia d’amore.
Ed è proprio a questa persona che si rivolge Donne, non ad un credente dunque la cui fede non necessita di tale domanda, per spiegargli come quell’amore, che lo ha spinto a formulare quella domanda, debba estendersi a tutta l’umanità proprio perché lui ne è partecipe.
E che ne sia partecipe lo dimostra proprio quell’interesse a conoscere per chi suona la campana.
Amore quindi che deve poter esistere anche oltre la morte del singolo, perché diversamente il dolore che dal suono di quella campane ne è derivato, sarebbe  unicamente un fatto personale senza possibilità di superamento e  quindi, quel che è più grave, senza un valida ragione per accettarlo, perciò inutile e come tale da evitare.
Ma è proprio questa decisione, non amare per non soffrire, che Donne contesta ricordando, appunto, che nessun uomo è un’isola.
Non potendo ovviamente ricordare l’amore di Cristo in cui il suo interlocutore non riesce a credere.
Ed allora tu, che al contrario di quello, sai perfettamente che la campana suona per un tuo fratello e quindi per te, non ti turbare se in quei versi Cristo pare assente, ma anzi apprezzane lo spirito di evangelizzazione.
E proprio quei versi siano la risposta da dare a coloro che dichiarano di non riuscire a credere nella parola di Gesù.”

Quella notte mi addormentai sereno.

 
    
 
 
 
 
 
 
 

sabato 24 luglio 2021

Ora et Labora

 



Alcuni giorni dopo mi venne fatto di domandarmi se con il riferimento all’insegnamento benedettino, “Ora ed labora”, con cui l’Angelo aveva concluso il precedente dialogo, avesse voluto solo confermarmi come il mio periodo passato a Farfa fosse stato fruttifero, ovvero se intendesse farmi approfondire il mio ragionamento proprio sulla validità di quell’insegnamento anche ai giorni nostri.

Ed ovviamente la sera trovai l’Angelo che sempre sorridente mi aspettava proprio per pormi quella domanda.

“E’ difficile risponderti perché, se da un lato ritengo che solo la preghiera può trovare ascolto nel Signore, specie se pronunciata nel nome del Figlio, dall’altro lato sono egualmente convinto che proprio l’invio del Figlio nel mondo dimostri inequivocabilmente la Sua volontà salvifica, che quindi potrebbe prescindere dalla preghiera stessa.”

“ E allora come risolvi l’evidente contrasto in cui sei caduto?” mi rispose l’Angelo.

“Il dubbio  mi è sorto leggendo quel passo del Vangelo di Luca (12/22)in cui Gesù dopo aver invitato i discepoli a non preoccuparsi “del cibo di cui avete bisogno per vivere né del vestito di cui avete bisogno per coprirvi” rammenta loro, prima gli uccelli “che non seminano e non mietono non hanno rispostigli ne granaio eppure Dio li nutre. Ebbene voi valete più degli uccelli!” e poi i gigli del campo che “ non lavorano ne si fanno vestiti. Eppure io vi dico che neppure Salomone con tutta la sua ricchezza, ha mai avuto un vestito così bello!”  quindi conclude “ Se dunque Dio veste così bene i fiori del campo, che oggi ci sono, e il giorno dopo vengono bruciati, a maggior ragione darà un vestito a voi, gente di poca fede! Perciò non state sempre in ansia nel cercare che cosa mangerete o che cosa berrete, di tutte queste cose si preoccupano gli altri, quelli che non conoscono Dio. Ma voi avete un padre che sa ciò di cui avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta”

Mi domandò allora l’Angelo: “Quale dubbio può esserti mai sorto da quelle parole che al contrario sono di una chiarezza assoluta in ordine alla vicinanza del Signore in ogni momento ed in ogni esigenza  della vita ?”.

“Il dubbio non riguarda la continua vicinanza del Signore, bensì l’inutilità della preghiera data appunto tale vicinanza.
Mi spiego meglio, se non dobbiamo preoccuparci  del cibo che mangeremo o delle vesti per coprirci, perché  Dio ben conosce ciò di cui abbiamo bisogno, mi sembra, e qui sta il mio dubbio, che la preghiera sia inutile dato che ciò di cui abbiamo bisogno ci verrà comunque dato dal Signore, come avviene per gli uccelli e i gigli del campo.
Ma se questo ragionamento è corretto, allora perché Gesù ha insegnato agli apostoli la preghiera al Padre Nostro nella quale si chiede il pane quotidiano?”

L’Angelo, questa volta non sorridendo, così mi rispose
“La contraddizione che hai rilevato è solo apparente e non di sostanza, perché se da una lato è vero che non dobbiamo preoccuparci di ciò che mangeremo e vestiremo perché Dio sa ciò di cui abbiamo bisogno, dall’altro lato è anche vero che Gesù conclude il suo insegnamento agli apostoli dicendo “ Cercate piuttosto il regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta”.
Queste sono le parole che risolvono il tuo dubbio.
Gesù infatti ha voluto dirci tre cose: la prima è che la ricerca del regno di Dio deve essere la principale, se non unica, preoccupazione che l’uomo deve avere, la seconda è che tutte le altre preoccupazioni sono da considerarsi superflue rispetto alla prima, la terza è che quantunque superflue saranno comunque soddisfatte a colui che ricerca il regno di Dio.
E veniamo alla preghiera.
 E’ vero che Gesù ci ha invitato a chiedere al Signore il nostro pane quotidiano, ma ci ha anche detto di chiedere di rimetterci i nostri debiti così come noi li rimettiamo ai nostri debitori. L’invito a quella preghiera quindi è diretto a tutti coloro che ancora non abbiano rimesso i debiti ai loro debitori.
Ricorda infatti quell’altro passaggio del vangelo in cui Gesù invita chi voglia recarsi al Tempio per pregare, di fare prima pace col proprio fratello che, evidentemente, riteneva essergli debitore.
Dunque quella preghiera è stata dettata per tutti i fedeli che ancora non siano riusciti a capire che solo la ricerca del regno di Dio deve essere lo scopo della vita.
Ovverosia purtroppo, e di questo era perfettamente conscio Gesù, per la quasi totalità dei fedeli.
 Con ciò ribadendo il Suo potere salvifico quale conseguenza della Sua discesa sulla terra.
Queste considerazioni per fugare ogni dubbio circa la necessità della preghiera per tutti i fedeli; tutti, ripeto, compresi anche quelli che ricercano il regno di Dio, perché l’umiltà e la coscienza della propria pochezza di fronte al Signore, impedisce loro di ritenersene esentati, ché diversamente tale convincimento si risolverebbe in una orgogliosa e come tale inammissibile presunzione.”

“Ora et Labora” risposi io “ Avevano ragione i monaci di Farfa dunque. Perché da quanto mi hai detto credo che quel principio si possa tradurre in “Prega e Vivi la tua  vita come la preghiera ti indicherà.
 E poiché tanti sono i chiamati ma pochi gli eletti, credo che il monaco di Farfa che mi insegnò quella formula sia fra quest’ultimi.
Agli altri, come me, solo la preghiera ci potrò indicare quale debba essere la vita che ci trasformerà in eletti.
Ed ovviamente quella vita non potrà avere altro scopo che la ricerca del regno di Dio.
Perché tutto il resto, ossia il pane quotidiano, ci verrà dato in aggiunta”


venerdì 30 aprile 2021

La Trinità

 





La sera precedente ad una cena con amici il discorso era si era incentrato, come spesso accade alla nostra età, sulla religione.
Trovai i miei ospiti piuttosto agguerriti su una posizione di totale incredulità sull’esistenza di un Creatore.
 Sostenevano infatti che la teoria evoluzionistica, ormai pacifica, lo escludeva.
A quel ragionamento obiettai che detta esclusione non poteva trovare ragione in tale teoria, quanto meno sotto l’aspetto logico, atteso che ove si ipotizzi un “inizio” non può negarsi un “prima”, e conseguentemente il Creatore andava ricercato in quel prima.
Ma proprio perché quel prima è, per così dire, fuori dallo “spazio” e dal “tempo”, che sono le categorie entro le quali ci possiamo muovere e ragionare, non ci è dato neppure immaginare il Creatore.
A quel punto la discussione si spostò sulla Trinità, per dichiararne l’assoluta incongruenza.
E fu a quel punto che mi trovai in difficoltà.

L’Angelo, che mi aveva ascoltato attentamente, mi domandò: “Vedo che sei ancora molto turbato, e  che non mi hai ancora precisato quale sia stato il ragionamento che ti ha  colpito tanto da esitare a farmene partecipe, quasi temessi di bestemmiare”

“E’ vero” risposi “ sono turbato, ma non esito perché temo di bestemmiare, ma perché non mi so dare pace di non essere stato in grado di confutare soddisfacentemente le loro affermazioni”

“Ma dunque che cosa è stato detto di tanto terribile” mi incalzò l’Angelo

Il loro ragionamento  si fondava su queste domande:

Quale  Dio è mai quello predicato da Gesù che pretende la morte in croce del figlio, che è Dio come lui, per perdonare l’umanità del suo peccato, mentre la terza figura, lo Spirito Santo, nulla ha da obiettare ?

 Non ti vengono in mente i sacrifici umani che erano dovuti agli Dei per ottenere la loro benevolenza ?

E qual era questo peccato così grave da rendere necessaria una tale vittima?La mela di Eva e quindi la disubbidienza al suo comando? E ti pare accettabile tutto ciò?”

Povero Gian Carlo” mi rispose l’Angelo “hai subito un attacco in piena forza di Satana, ma ora calmati e lascia parlare la tua fede .

Mi spiego meglio. Tu non sei stato in grado di rispondere, non perché la tua fede fosse scarsa, ma perché ti sei rivolto alla tua conoscenza della fede, e questa per quanto grande non è in grado di confutare Satana quando questi decida di intervenire in prima persona.

 Avresti dovuto chiudere il cervello ed affidarti completamente allo Spirito Santo che ti avrebbe suggerito le parole.

Come Gesù disse  di fare agli apostoli, quando si sarebbero dovuti difendere dinanzi i Tribunali.”

“ Ma  quale ragione  ha spinto Satana a tale durissimo intervento?” gli domandai “Non credo per minare la mia fede che, come te, anche lui sa essere incrollabile,”

“Le parole che lui ha messo in bocca ai tuoi amici erano dirette al loro stessi” mi rispose l’Angelo “ e non a te.

 Voleva infatti confermare a loro stessi la fondatezza dei dubbi che già avevano.  

 E la ragione per la quale ti ha rovesciato addosso tutte insieme quelle problematiche era per confonderti e farti perdere la calma necessaria per invocare lo Spirito Santo. Ma ora credi di aver riacquistato quella calma? E se si, che cosa intendi fare?”

“ Mi domandi che cosa io intenda fare perché tu ben sai che io voglio e devo fare qualche cosa per quegli amici, ed altrettanto sai che una ragione del mio turbamento consiste nella promessa di inviare loro i miei racconti, ma sai anche che tale promessa celava la volontà di riprendere, per confutarli, i loro convincimenti.

Io credo che i miei amici, attaccando così duramente la mia fede, non intendessero deridermi e, quel che più conta, cercare di farmene dubitare, ma,  forse, espormi i motivi che impediscono loro di credere, nell’assurda, inconscia  speranza di una mia parola che instillasse in loro un fondato dubbio su quanto stavano affermando.

Dunque non parole di conversione, che ben sapevano essere fuori dalla mia portata,  ma semplicemente di fede, della mia fede.

Questa trova il suo fondamento nel Prologo del Vangelo di Giovanni:

“In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo.

Questo era in principio presso Dio.

Tutto per mezzo di lui fu fatto e senza di lui non fu fatto assolutamente nulla di ciò che è stato fatto.

In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;

e la luce nelle tenebre brilla e le tenebre non la compresero.”

Più oltre Giovanni prosegue :

“E il Verbo si fece carne e dimorò presso di noi e abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità”

Io credo in queste parole con cui Giovanni ha cercato di spiegare il mistero della Trinità.

Dio è il Verbo, ossia il Logos, come testualmente Giovanni, che scriveva in greco, lo ha definito.     

E il Logos per il filosofo Eraclito era è il principio vivente ed attivo che si diffonde nella materia inerte animandola e portando alla vita i diversi enti.
« Non ascoltando me, ma il logos, è saggio intuire che tutte le cose sono Uno e che l'Uno è tutte le cose. »

Principio vivente quindi che dà la vita quindi.

Per Giovanni e per tutti i credenti questo “Principio vivente” è un’entità inimmaginabile, proprio perché oltre lo spazio ed il tempo, che crediamo essere il nostro Dio, creatore di “ tutto ciò che fu fatto”

Ma poi Giovanni aggiunge che “ il Verbo si è fatto carne e dimorò presso di noi”

Dunque non ha senso parlare di Gesù come entità scissa dal Padre, perché è sempre il Verbo che si è fatto carne.

Di conseguenza non ha senso ritenere che il Padre abbia voluto il sacrificio del figlio, proprio perché è sempre il Padre che si è sacrificato.

E quindi non ha senso ritenere che questo sacrificio sia stato fatto per placare l’ira del Padre.

Poiché  però io credo che il sacrificio di Gesù sia comunque avvenuto, questo non poteva che essere finalizzato all’ uomo, ossia all’umanità, e non a placare la propria ira.

Con la parabola del Buon Pastore infatti Gesù stesso ci dice:

“ Io sono il buon pastore e conosco le mie  (pecore) e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce  me ed io conosco il Padre.  Io do la mia vita per le pecore. Ed ho altre pecore che non sono di quest’ovile. Anch’esse devo guidare, ascolteranno la mia voce e saranno un solo gregge, un solo pastore”

Dunque il Verbo si è fatto carne per guidare tutte le pecore in un solo ovile.

Tuttavia potrà guidarle solo se ascolteranno la Sua voce.

Ma per ottenere il loro ascolto è necessario che dia loro un segno indiscutibile d’amore che le rassicuri sulla sua intenzione di ricondurle all’ovile ove si sentono sicure.

Il sacrificio estremo quale segno d’amore e la resurrezione quale segno di potenza assoluta.

Dunque il Logos che contiene in se il Figlio e lo Spirito Santo

E veniamo al “peccato originale”.

Quello commesso da Eva è senza dubbio una disobbedienza, ma certo non quella di aver mangiato il frutto proibito.

Ma quello di aver ritenuto che la libertà di arbitrio , ovverosia di scelta, che era stata concessa all’uomo all’atto della sua creazione, lo legittimasse a separare Dio dalla sua vita.

Ora, al di là che con tale scelta l’uomo , in ultima analisi, riteneva di poter fare a meno di Dio, non si rendeva conto che così facendo allontanava da se la vita stessa.

Giovanni infatti precisa che in Dio “ era la vita e la vita era la luce degli uomini”.

Una scelta dunque che rifiutava la Vera vita, perché solo quella che Dio infuse in Adamo può dirsi tale.

 Nella Genesi infatti si legge che fece l’uomo a sua immagine e somiglianza, cioè creandolo per la vita eterna e non per la morte.

 Proprio perché, avendo creato Adamo  simile a se,  anche la vita che gli infuse era fuori dal tempo e dallo spazio, ovverosia senza fine.

Quella di Adamo dunque fu una scelta  di morte.

“ e la luce nelle tenebre brilla e le tenebre non la compresero” dice Giovanni.

Ed è questo il Peccato originale: la scelta delle tenebre che contrasta con la volontà di Dio al momento della creazione.”

 “ Tante altre e diverse argomentazioni sono state fatte dai Padri della Chiesa” mi rispose l’Angelo “ ma quelle che tu hai portato hanno il pregio della semplicità che è essenziale nelle questioni di fede, proprio perché questa, quand’è sincera, è quasi sempre irrazionale.

Infatti nessun dialogo è possibile con chi non sente nel suo intimo il desiderio, irrazionale appunto, di credere nell’esistenza di un Logos.”

Stanco per la concentrazione cui l’Angelo mi aveva costretto chiedendomi in ultima analisi di spiegare a me stesso, evidentemente, la mia Fede, mi addormentai soddisfatto.


mercoledì 24 febbraio 2021

Gramsci

 


Quella notte non riuscivo a prendere sonno perché mi domandavo come fosse stato possibile  che certe persone potessero subire prigionie, sofferenze e perfino la morte in nome di un ideale, quando questo non coincidesse con una propria fede che non prevedesse un riconoscimento in una vita oltre la morte. In una parola quelli che vengono definiti “patrioti”.
Qualche giorno innanzi un mio amico mi aveva inviato un pensiero di Gramsci che mi aveva turbato ponendomi questo interrogativo, al quale peraltro ne seguiva un altro concernente il perdono di Dio.
Affermava Gramsci: “ Il mio stato d’animo è tale che se anche fossi condannato a morte , continuerei ad essere tranquillo  e anche la sera prima dell’esecuzione magari studierei una lezione di lingua cinese per non cadere più in quegli stati d’animo volgari e banali che si chiamano pessimismo e ottimismo. Il mio stato d’animo sintetizza questi due sentimenti e li supera: sono pessimista con l’intelligenza ma ottimista con la volontà”.

Capisco i problemi che ti assillano” mi disse l’Angelo non appena entrai in salotto ed ancor prima che gli e li esponessi, come sempre più spesso avveniva “ e sono qui per aiutarti, ma come ormai avrai capito le risposte dovrai trovarle da solo nella tua fede, io potrò eventualmente solo fare sì che il tuo ragionamento sia sempre guidato da questa e la tua mente rimanga lucida quando dovrai affrontare teorie estranee che vengono necessariamente coinvolte dalle problematiche che ti sei posto.
Da dove vuoi cominciare?”
“E’ difficile individuare il punto di inizio in quanto il pensiero di Gramsci contiene varie affermazioni che mi turbano.
La prima riguarda la lezione di lingua cinese. Mi domando perché il cinese e non Marx, ad esempio ?”
“E che cosa ti rispondi?” mi domandò l’Angelo.
“ Non credo che intendesse riferirsi alla lingua, bensì ad una  filosofia cinese, forse allo Zen, quale derivazione del Buddismo e che contiene un insieme di principi che consentono all’anima di crescere dedicandosi a vivere la vita così com’è. Ma se questa è la filosofia cui Gramsci si riferiva la stessa appare in contrasto con la sua vita interamente dedicata al popolo inteso come oppresso dal potere economico detenuto da pochi e non dal popolo stesso..
 Lao Tzu però afferma: “Non uscendo dalla porta si conosce il mondo, non guardando dalla finestra si scorge la via del cielo” così come la massima più seguita dai monaci Zen è: “Dovete arrivare a comprendere e rendere reale che il centro dell’universo è il vostro ombelico”.
Dunque una filosofia che indirizza l’agire dell’uomo solo all’interno di se stesso escludendo l’umanità che circonda, ovverosia tutto il contrario della vita fino a quel giorno vissuta da Gramsci.
Ma forse durante la prigionia il suo problema era mutato ed era divenuto quello di essere in grado di accettare questa nuova situazione, ossia la propria esecuzione del giorno dopo.
Afferma un’altra massima Zen, che potrebbe giustificare la ricerca del superamento di quei sentimenti, che Gramsci definisce banali e volgari, quali l’ottimismo ed il pessimismo: “Essere consapevoli, svegli, ricordarsi di Se, ovverosia non farsi travolgere dal chiacchiericcio della mente, questo è il potere della consapevolezza, essere attenti e presenti con equilibrio, serenità e comprensione, sia che l’esperienza sia piacevole, spiacevole o neutra. Restare semplicemente testimoni indifferenti”
Ma anche questa interpretazione dell’affermazione di Gramsci contraddice la successiva, con la quale lui si dichiara pessimista con l’intelligenza e ottimista con la volontà, e quindi nega di poter essere semplicemente un testimone indifferente di fronte alla propria esecuzione del giorno dopo.
Forse invece intendeva riferirsi al Confucianesimo, che non è una Fede ma una filosofia esistenziale che postula una vita all’insegna di autocontrollo, moderazione e giustizia e che considerava l’amore per il prossimo non un semplice dovere ma un’esigenza vitale, ma che escludeva ogni possibile ricerca di Dio con questa frase : “Non abbiamo ancora imparato a conoscere la vita, come possiamo conoscere la morte?”
Ma allora mi domando, se non possiamo conoscere la morte che senso avrebbe il pessimismo intellettuale e l’ottimismo della volontà la sera precedente la propria esecuzione ?
Ed ancora che senso aveva definire quei sentimenti, comuni pressoché a tutti gli uomini, volgari e banali per una persona che proprio a quegli uomini aveva dedicato la propria vita.
E’ vero che l’attività di Gramsci era stata tesa all’emancipazione del popolo sia sotto l’aspetto economico che sotto quello intellettivo, ma la volgarità e la banalità sono caratteristiche per la cui estirpazione lui stesso era conscio che, non solo non sarebbe stato facile, ma che avrebbe richiesto decenni se non secoli.
E’ vero che l’ideale è insensibile al tempo, ma allora che senso aveva dichiarare di essere pessimista con l’intelligenza? Forse che era giunto a ritenere quell’ideale irraggiungibile?
E se tale era il suo convincimento come poteva affermare un ottimismo della volontà se questa era destinata a dissolversi la mattina successiva con la sua esecuzione?
Il suo riferimento quindi mi appare come una dichiarazione di elitarietà, o meglio di superiorità rispetto a quello stesso popolo a cui aveva dedicato la sua vita, il che mi sembra contrastare quel principio di eguaglianza cui si era dedicato.”
“ E allora che cosa concludi ?” mi disse l’Angelo.

Non sono sicuro.
In primo luogo non sono sicuro che quella frase fosse dettata da spirito elitario, anche se sembra logicamente possibile sia per quanto osservato in ordine ai termini di volgarità e banalità adoperati, che non possono essere intesi se non in senso dispregiativo che si riverbera sui soggetti definibili in tal modo, sia perché Gramsci era obiettivamente un intellettuale ovverosia una persona non banale né volgare.
In secondo luogo non sono sicuro che quell’affermazione di tranquillità con cui apre il suo pensiero fosse effettivamente reale. Mi domando infatti come si possa essere tranquilli la sera prima della propria esecuzione quando si sia convinti che con essa venga a cessare tutta la tua essenza sia fisica che spirituale, ovverosia che il tuo ciclo, come quello di qualunque altro animale che popola la terra, sia definitivamente esaurito.
E d’altronde a quale scopo una lezione di lingua cinese se non per trovare o ritrovare una tranquillità che l’imminenza della fine, con la sua obbiettiva realtà, gli aveva fatto perdere, o meglio aveva dimostrato l’irrealtà di quella che la sua mente in precedenza aveva ritenuto  essere stata raggiunta.
In terzo luogo ho la strana sensazione che con l’affermazione conclusiva: sono pessimista con l’intelligenza ma ottimista con la volontà, intendesse dire qualche cosa di diverso dal semplice senso delle parole.”
“ Che cosa?” mi incalzò l’Angelo.
“ Ho la sensazione che con quelle parole intendesse esorcizzare la paura e non già dichiarare il proprio stato psichico.”
“ Paura di che? Della morte?” mi domandò l’Angelo.
“ Si, certo, della morte. Ma forse anche di qual’cosa d’altro. Di qualche cosa che evidentemente lo terrorizzava di più.”
“ Cioè?” fece l’Angelo.
“ L’errore.
 Per un uomo infatti che ha dedicato tutta la sua vita all’attuazione di un ideale, rifiutando quindi la materialità della vita stessa, ovverosia non vivendola secondo i canoni della propria fisicità, comuni a tutti gli esseri viventi, cosa vi è di più terrorizzante se non l’idea di avere sbagliato tutto. Ossia l’errore?
Ed è sotto questa luce che quella conclusione potrebbe trovare un senso.
Si deve invertire l’ordine delle due affermazioni perché, secondo me, hanno due diversi riferimenti.
L’ottimismo della volontà si riferisce all’attuazione finale dell’ideale che sarà il popolo a realizzare, mentre il pessimismo dell’intelligenza si riferisce solo a se stesso, e alla scadenza del tempo concessogli.”
“ Per vivere, dunque, una vita diversa da quella sino allora vissuta?” mi domandò l’Angelo.
“No, non per quello, come si desume dal termine intelligenza usato, che esclude ogni riferimento alla fisicità, ma per rivedere alcuni dei propri convincimenti. E fra questi il più importante, quello che, ove errato, comporta quel pessimismo che, non dimentichiamo, Gramsci riteneva irreversibile proprio per la scadenza del tempo a disposizione, non può che riguardare l’esistenza oltre la morte.”
“Sei giunto al termine, Gian Carlo, ora devi concludere allontanando da te il timore reverenziale che la fama di Gramsci ti incute, ed il pudore intellettuale ti trattiene.” Mi sussurrò l’Angelo.
“Sono veri quel timore e quel pudore, perché la mia sensazione finale è che quel pensiero di Gramsci altro non sia che un grido di aiuto, per di più disperato.
 Disperato, perché rivolto a colui del quale ha sempre negato l’esistenza, e  disperato per la convinzione  di non aver più il tempo per modificare ciò che la sua intelligenza aveva erroneamente elaborato.
Ma se la mia sensazione è giusta e se il Signore ha incatenato Lucifero per mille anni, come si legge nell’Apocalisse, perché si penta, come io credo, quel grido di aiuto non può non essere stato accolto.”
“Adesso ritorna nel tuo letto” mi disse l’Angelo sorridendo.