Erano in quell’età in cui gli adolescenti iniziano a confrontare i propri pensieri con i coetanei, quando la grande stalla della tenuta fu trasformata in fabbrica.Fu naturale che i due giovani, un ragazzo ed una ragazza, vi andassero a lavorare, interrompendo così anticipatamente quel confronto che il lavoro della terra più facilmente avrebbe loro consentito, e che invece il più gravoso impegno, per la sua totale novità, con la macchina cui vennero addetti, non consentiva, a motivo dei tempi di produzione che la stessa imponeva.
Ne seguì che le parole vennero sostituite dai gesti più che dagli sguardi, essendo questi tesi a seguire i movimenti della macchina entro i quali dovevano inserirsi, tempi peraltro brevissimi che consentivano solo veloci sfioramenti delle mani nel passaggio dall’uno all’altra del pezzo da lavorare, ma che assumevano tra i due una precisa ed inequivocabile valenza di parole, che divenuta intima, costituiva l’unico linguaggio possibile.
Il contatto, non necessario, della mano del giovane nel passaggio del pezzo, indicava senza possibilità di equivoco: “Ti voglio bene” mentre il fugace permanere della mano dall’altra significava indubbiamente: “Anch’io”.
Questo il loro continuo dialogo, quando la fabbrica chiuse.
Da quel giorno si trovarono a passare i loro momenti di libertà, l’uno accanto all’altra, nella completa incapacità di comunicare, quando l’uomo decise di rimontare in cucina la vecchia macchina abbandonata nella stalla, attraverso la quale felicemente ripresero il colloquio interrotto.
Ovviamente la macchina non funzionò, ma ciò non fu percepito dai due come una limitazione, che anzi poterono aggiungere, al ripreso silenzioso dialogo delle mani, anche gli sguardi.
Ne seguì che le parole vennero sostituite dai gesti più che dagli sguardi, essendo questi tesi a seguire i movimenti della macchina entro i quali dovevano inserirsi, tempi peraltro brevissimi che consentivano solo veloci sfioramenti delle mani nel passaggio dall’uno all’altra del pezzo da lavorare, ma che assumevano tra i due una precisa ed inequivocabile valenza di parole, che divenuta intima, costituiva l’unico linguaggio possibile.
Il contatto, non necessario, della mano del giovane nel passaggio del pezzo, indicava senza possibilità di equivoco: “Ti voglio bene” mentre il fugace permanere della mano dall’altra significava indubbiamente: “Anch’io”.
Questo il loro continuo dialogo, quando la fabbrica chiuse.
Da quel giorno si trovarono a passare i loro momenti di libertà, l’uno accanto all’altra, nella completa incapacità di comunicare, quando l’uomo decise di rimontare in cucina la vecchia macchina abbandonata nella stalla, attraverso la quale felicemente ripresero il colloquio interrotto.
Ovviamente la macchina non funzionò, ma ciò non fu percepito dai due come una limitazione, che anzi poterono aggiungere, al ripreso silenzioso dialogo delle mani, anche gli sguardi.
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