sabato 19 marzo 2022

La perfezione di Dio

 


Una mia amica mi aveva fatto leggere un mini racconto che girava sulla rete, e che poneva la domanda quale fosse perfezione di Dio.

Il raccontino in questione narrava di un ragazzino minorato fisicamente che, assistendo ad una partita di baseball tra ragazzi, domandava al padre se quei ragazzi lo avrebbero fatto giocare nonostante che il suo handicap motorio lo rendesse palesemente inadatto.
Alla richiesta del padre uno dei giocatori rispose che essendo la sua squadra destinata inequivocabilmente a perdere l’incontro, ben volentieri avrebbe fatto entrare il  ragazzino.
Il lancio della palla che  il “lanciatore” della squadra avversaria effettuò fu di estrema facilità  ed il ragazzino, peraltro aiutato da un suo compagno, riuscì a colpirla seppure con scarsissima forza, tanto che questa volò lentamente verso la prima “base”.
Mentre il ragazzino arrancava faticosamente verso quella base  ove la palla stava viaggiando con molto anticipo su di lui, e quindi la presa del giocatore avversario lo avrebbe eliminato, questi incredibilmente se la fece scappare dalle mani, consentendo così al ragazzino di conquistare quella prima base.
A quel punto i compagni di squadre urlarono al ragazzino di proseguire la sua corsa verso la seconda base che peraltro, data la sua lentezza motoria, non avrebbe sicuramente raggiunto prima dell’arrivo della palla che il giocatore di prima base avrebbe dovuto lanciare con tutta la forza possibile a quello della seconda.
Sennonché, senza una ragione tattica apparente, la prima base lanciò la palla con estrema lentezza tale da consentire al ragazzino di raggiungere la seconda base prima della palla.
Da questa, obbedendo agli incitamenti che ormai tutti i giocatori delle due squadre gli urlavano, il ragazzino proseguì la corsa verso la terza base ove, come era già avvenuto per la precedente, giunse prima della lenta palla che anche la seconda base aveva lanciato.
Ormai sia da parte dei giocatori tutti che dagli spettatori era un urlato incitamento per il ragazzino a proseguire la sua faticosa corsa. Questa terminò con il raggiungimento dell’ultima base e la conseguente vittoria della sua squadra.
Raggiungimento che veniva acclamato con grida gioiose  di tutti i presenti sia giocatori che tifosi delle due squadre in campo, e con  assoluta felicità del ragazzino, che piangendo si unì a quelle urla.
Questa, concludeva il racconto, era la “Perfezione” che Dio cerca in noi.

La sera però ripensando a quel raccontino, pur essendo totalmente d’accordo con la risposta conclusiva circa la perfezione cui dobbiamo tendere, mi sembrava, in ultima analisi, che non avesse risposto alla domanda iniziale che concerneva la “Perfezione di Dio” e non quella cui noi dobbiamo tendere.
Alzatomi dal letto trovai il mio Angelo che già mi aspettava in salotto.

“Vedi Gian Carlo” esordì lui prima ancora che io gli esponessi il mio dubbio “ la tua sensazione circa la mancata risposta alla domanda iniziale non è giusta.
Il racconto voleva  indicare  solo come la perfezione sia facilmente raggiungibile, contrariamente a quanto si pensa, e quale sia quella che il Signore vuole che noi cerchiamo.
Ovverosia l’amore incondizionato per il nostro prossimo.
E questo amore non richiede grandi sacrifici, ma solo totale dedizione, e questa a sua volta può manifestarsi anche per il limitato tempo di un fine partita di baseball, ma in quel limitato tempo si può raggiungere la perfezione.
E così raggiungere quella perfetta felicità, che tutti i presenti hanno provato nell’istante in cui il ragazzo ha raggiunto l’ultima base.
Perché è di tutta evidenza che la discesa in campo di quel ragazzino aveva suscitato un’ondata di sincero affetto nei suoi confronti, cancellando quella pena che indubbiamente aveva suscitato il suo faticoso arrancare verso la sua postazione di gioco.
Ed è stata proprio la purezza di quel comune sentimento d’amore che ha consentito loro di provare un istante di assoluta felicità nel momento in cui il ragazzino conquistava l’ultima base.
Perché la felicità è un dono che il Signore fa a tutte le creature che seguono il suo comandamento d’amore per il prossimo.
Ma la purezza di quel sentimento comune nasceva anche dalla inconfessata certezza che il Signore avrebbe esaudito ciò che tutti speravano: la vittoria del ragazzino sul suo grave handicap.
Un atto di fede dunque nella bontà divina  che aveva fatto in modo da consentire a quel ragazzo ciò che mai più avrebbe pensato di poter ottenere: giocare e vincere per merito solo suo una partita di baseball. Fede ed amore quindi che meritavano la felicità da tutti provata.

Ma  veniamo alla domanda iniziale.
A te è sembrato che il racconto non abbia risposto alla domanda circa la perfezione di Dio. Ma non è così, il racconto ci dice che indistintamente tutti coloro che erano presenti presero parte alla corsa del ragazzo, e quel che più conta lo fecero anche i tifosi della squadra avversaria con gli stessi giocatori, ben sapendo che in tal modo avrebbero perso la gara, tuttavia i primi lo incitarono ed i secondi lo aiutarono lanciando palle lente per dargli il tempo di giungere alle successive basi.
Il perché di simile comune comportamento, lo abbiamo visto, si spiega con l’improvviso amore che tutti provarono per il ragazzo ed ancor più col desiderio di dargli una felicità che, dato il suo stato fisico, non era assolutamente raggiungibile, e per ciò stesso inimmaginabile.
E quando lui raggiunse l’ultima base e con essa la perfetta felicità, tutti ne furono partecipi.
Ebbene in quell’istante,  così come il ragazzo si era liberato da tutti i tremendi vincoli a cui il suo corpo handicappato lo legava, altrettanto avveniva per tutti i presenti.
In altre parole tutti si erano liberati della materialità del proprio corpo per raggiungere la totale spiritualità della felicità che stavano provando.
Si erano dunque trasformati in puro spirito, quindi fuori dai vincoli di spazio e  tempo in cui la mente umana è in grado di pensare.  
Per un istante dunque la felicità che provarono  aveva liberato il loro spirito che naturalmente era ritornato a far parte del Tutto da cui era uscito con la Creazione.
Ti domando allora Gian Carlo, qual è la risposta alla domanda iniziale che si desume da quel racconto?”

Per un momento rimasi interdetto perché la risposta che mi veniva alla mente era inconcepibile: qual era la perfezione di Dio?, ed a me pareva di saperlo.
“La felicità” risposi titubante “ Perché quel racconto ci dice che l’essenza di Dio è uguale a quella perfetta felicità che tutti i presenti a quella partita provarono seppure per un istante”
Poi aggiunsi: “ Credo infatti che  lo sconosciuto autore di quel racconto abbia avuto una ispirazione divina, perché, come nelle parabole, il senso profondo è celato sotto l’apparenza del semplice racconto.
Infatti l’iniziale sensazione era quella che alla domanda principale non fosse data risposta, e solo attraverso la “Logica” del tuo discorso  l’ho potuta intendere.
Ma quella “Logica” mi riporta al Vangelo di Giovanni  che nell’originaria stesura greca inizia  con la frase : “In principio era il LOGOS ed il LOGOS era presso Dio e Dio era il LOGOS”.
Se è così il VERBO ha nuovamente parlato attraverso la moderna parabola che quello sconosciuto autore ci ha raccontato  e che tu mi hai svelato.