domenica 27 novembre 2022

Speranza

 




Nell’omelia della Messa richiesta da un mio amico in memoria della moglie morta l’anno precedente, il celebrante ha spiegato come i credenti possano superare o meglio affievolire il dolore per la perdita subita, approfondendo l’affermazione di Cristo, peraltro fondamentale, “Io ero, sono e sarò”. Prendendo le mosse dai concetti di “Nostalgia, Memoria e Speranza” ne indicava la seguente corretta interpretazione.

Nostalgia come il sentimento struggente di un tempo felice passato;
Memoria come la consapevolezza di essere noi stessi la memoria di tutti coloro che, nel bene e nel male, hanno contribuito a farci divenire ciò che siamo, e per ciò stesso di contenere in noi quelli stessi;
Speranza di poter ritornare in quel felice passato;
il celebrante indicava in Cristo e quindi in quella sua affermazione, il superamento del dolore per i più colpiti dalla perdita della persona cara, ovvero della tristezza per gli altri presenti.
Perché, spiegava sempre il celebrante, Cristo “ Era il Signore di quel periodo felice passato, E’ il Signore di questo presente, Sarà il Signore del felice futuro promesso a coloro che credono in lui”

Più tardi ripensandoci su, pur concordando in toto con quelle conclusioni , non potei fare a meno di rilevare:

1°- che, seppure la “memoria” siamo noi stessi, ciò vale per gli altri che in noi ritrovano aspetti e comportamenti che furono delle persone scomparse, ma non per noi che di quelle sentiamo dolorosamente la mancanza;
2°- che proprio quel dolore che ci attanaglia non ci consente di provare quella “nostalgia”di un tempo felice passato, perché questa, come giustamente osservava il celebrante, è un sentimento struggente che però , a mio parere, non è mai doloroso, e di conseguenza impedisce ogni altro sentimento;
3°- che solo attraverso un atto di Fede nell’eternità di Cristo, che “era” quando eravamo felici, “è” nell’odierno momento doloroso, e “sarà” quando ci riuniremo in Lui ritrovando la passata felicità, saremo in grado di superare quel dolore per la perdita subita, trasformandolo in nostalgia.

Ma allora, se solo attraverso la Fede è possibile superare quel dolore e ciò che si raggiunge è solo la nostalgia, ma questa è quel sentimento struggente per una felicità passata e per ciò stesso perduta, e quindi non ci rimane altro che la speranza per una futura felicità in Cristo, mi viene fatto di domandarmi quale vita ci aspetti se non quella di una mera attesa.
Ed ancora, poiché la perdita subita è connaturata con la vita stessa, e perciò stesso ineluttabile, solo “la nostalgia” caratterizza la vita che il Creatore ci ha donato?
Ma questa abbiamo visto che si riferisce alla felicità perduta, ma se è così come si concilia con la inimmaginabile felicità che Cristo ci ha promesso?
Esistono forse due tipi di felicità dopo la morte ?
Oppure quella che Cristo ci ha promesso annulla nella sua totalità quella  “ nostalgia” che caratterizza la nostra vita?
In altre parole ci annulleremo in quella?
Ma se è così l’omelia del celebrante era errata e la nostalgia di cui parlava era destinata a non essere esaudita.
Ma questa conclusione si pone in assoluto contrasto con l’amore del precetto “chiedete e vi sarà dato”.

La sera con il mio Angelo ho espresso quelle conseguenze che a mio parere potevano derivarne dalle parole del celebrante, per averne il suo parere.
Non ho dubbi” ho esordito “Che qualunque felicità ci derivi da Cristo quale atto d’amore nei nostri confronti, perché la felicità è uno stato dell’anima, o forse addirittura una sensazione, e come tale non può e non deve essere confusa con la materialità dei fatti o degli spettacoli che l’hanno resa possibile in noi.
Infatti quegli stessi fatti o spettacoli vissuti da un altro soggetto, ovvero da noi stessi in un altro momento, potrebbero non avere lo stesso effetto.
Uno stato dell’anima, non solo personale, ma altresì diverso da quello precedente e da quello successivo, e quindi, quel che più conta, del tutto eccezionale rispetto a quello normale.
La domanda, a questo punto inevitabile, riguarda la felicità in se stessa.
Abbiamo detto che è uno stato dell’anima, possiamo anche dire che sia una sensazione,  di euforia forse, ma di che tipo?
Di certo quella che ci conduce “fuori di noi”,
Ma sono tante.
Escluse quelle che incidono riduttivamente sulla nostra coscienza, perché la sensazione di felicità per essere veramente tale deve essere cosciente, ché diversamente si tratterebbe di uno stupido annullamento della propria fisicità.
Dunque: Sensazione = Sentimento ?
Credo di si.
Ma quale?
San Francesco diceva che la perfetta felicità si prova quando, ritornando di notte in convento  dopo una giornata di freddo, si accetta di buon grado che il portone resti chiuso a causa del sonno pesante del padre guardiano, rendendo così possibile offrire al Signore quel piccolo sacrificio.
Dunque: Felicità = Accettazione di sacrifici, e quindi dei dolori? E di conseguenza offerta al Signore di quelli ?
Nessuno dei due, tuttavia ambedue essenziali.
Nessuno dei due, perché atti volontaristici e quindi che non conducono ad un “fuori di se”, che mi sembra quale stato essenziale della felicità.
Tuttavia tali atti, per S. Francesco, sono altrettanto essenziali per quella che si configura così come la ricompensa che il Signore ci da per l’offerta da noi a Lui fatta.
Ora non c’è dubbio che il Signore ricompensi sempre i sacrifici che gli vengano offerti in quanto manifestazioni d’amore, ma non credo che tale ricompensa sia esclusiva solo di quelle offerte, perché assolutamente riduttiva dell’amore del Signore per le sue creature.
Bisogna ritornare a quel “fuori di noi”, ossia a quel momento in cui ci liberiamo dai vincoli dello “Spazio/Tempo” in cui la nostra natura fisica ci costringe.
Perché solo in quel momento, ma sarebbe meglio dire in quell’istante, perché tale è la sua durata, noi ritorniamo nel grembo del Creatore.
Infatti al di là dello “Spazio/Tempo” esiste solo il Creatore presso cui , appunto, ritorniamo.
Ma se il nostro è un “ritorno”, ed altro non può essere perché diversamente si negherebbe la Creazione, tale “ritorno” comporta il mantenimento di quella specificità, o unicità che ci fu data al momento della nostra singola creazione, come innegabilmente si desume dalla diversità di ogni singola creatura nello “Spazio/Tempo”.
Ma se in quel ritorno vengono mantenute le singole specificità e queste sono quelle che ci costringevano entro lo spazio/tempo, come può verificarsi quel “fuori di noi” che ipotizzavo come assolutamente necessario per raggiungere la felicità che Cristo ci ha promesso.?”

“ Il problema che mi hai esposto” prese a dire il mio Angelo “ non è di facile soluzione proprio per quella costrizione spazio temporale in cui l’umanità, e tu con essa, si trova.
Tuttavia una risposta ti è dovuta per la tua fede.
Ma non sarà la risposta che ti attendi perché non saresti in grado di comprenderla per via appunto di quella costrizione, quindi ti risponderò con le parole che Dio stesso ha dettato a Giovanni perché le riportasse nell’Apocalisse precisandogli: “ Non sigillare le parole della profezia di questo libro, poiché il tempo è vicino”.
E Giovanni dopo aver visto scendere dal cielo la Santa Gerusalemme udì le parole del Signore che dicevano: “ Ecco il Tabernacolo di Dio fra gli uomini. Egli abiterà con loro, essi saranno il suo popolo e Dio stesso dimorerà con  gli uomini. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi.”
Ecco dunque la risposta al tuo problema.
La vita eterna che Cristo ci ha promesso non sarà un ritorno nella mente del Creatore così da divenire un tutt’uno che, se da un lato annullerebbe ogni propria singolarità, dall’altro ci farebbe in un certo qual modo partecipi della sua divinità
Dalle parole riportate da Giovanni si desume chiaramente che dopo la resurrezione l’eletto manterrà la propria umanità e con essa il proprio passato tanto che Dio stesso “asciugherà ogni lacrima”, e così tra l’altro ritroverà quel “felice passato” di cui in vita aveva provato nostalgia.
Non vi sono due specie di felicità, quella di un felice passato e quella inimmaginabile del ritorno presso il Creatore, perché la prima altro non è che una ulteriore manifestazione dell’Amore di Dio per tutte le sue creature.
La  felicità” che ci è stata promessa è dunque quella che Giovanni indica nella vita eterna che ogni singolo eletto vivrà con Dio nella Santa Gerusalemme, mantenendo  ogni singolarità così che queste nel loro insieme saranno “ il suo popolo”.
Come vedi non ha senso domandarsi come o quale sia “in pratica” questa felicità perché la santa Gerusalemme non soffre alcuna costrizione e quindi tale termine non ha alcun senso.
A quella domanda, così umana peraltro, potrà rispondere solo la tua fede e non la tua ragione, come in effetti tu vorresti.
“E più non dimandare.”


Nessun commento:

Posta un commento