Nell’omelia della Messa richiesta
da un mio amico in memoria della moglie morta l’anno precedente, il celebrante ha
spiegato come i credenti possano superare o meglio affievolire il dolore per la
perdita subita, approfondendo l’affermazione di Cristo, peraltro fondamentale, “Io ero, sono e sarò”. Prendendo le mosse dai concetti
di “Nostalgia, Memoria e Speranza” ne
indicava la seguente corretta interpretazione.
Nostalgia come il sentimento struggente di un tempo felice passato;
Memoria come la consapevolezza di essere noi stessi la memoria di
tutti coloro che, nel bene e nel male, hanno contribuito a farci divenire ciò
che siamo, e per ciò stesso di contenere in noi quelli stessi;
Speranza di poter ritornare in quel felice passato;
il celebrante indicava in Cristo
e quindi in quella sua affermazione, il superamento del dolore per i più
colpiti dalla perdita della persona cara, ovvero della tristezza per gli altri
presenti.
Perché, spiegava sempre il
celebrante, Cristo “ Era il Signore di quel periodo felice passato, E’ il Signore di questo presente, Sarà il Signore del felice futuro promesso a coloro che credono
in lui”
Più tardi ripensandoci su, pur
concordando in toto con quelle conclusioni , non potei fare a meno di rilevare:
1°- che, seppure la “memoria” siamo noi stessi, ciò vale per
gli altri che in noi ritrovano aspetti e comportamenti che furono delle persone
scomparse, ma non per noi che di quelle sentiamo dolorosamente la mancanza;
2°- che proprio quel dolore che
ci attanaglia non ci consente di provare quella “nostalgia”di un tempo felice passato, perché questa, come
giustamente osservava il celebrante, è un sentimento struggente che però , a
mio parere, non è mai doloroso, e di conseguenza impedisce ogni altro
sentimento;
3°- che solo attraverso un atto
di Fede nell’eternità di Cristo, che “era” quando
eravamo felici, “è” nell’odierno
momento doloroso, e “sarà” quando ci riuniremo in Lui
ritrovando la passata felicità, saremo in grado di superare quel dolore per la
perdita subita, trasformandolo in nostalgia.
Ma allora, se solo attraverso la
Fede è possibile superare quel dolore e ciò che si raggiunge è solo la nostalgia, ma questa è quel sentimento
struggente per una felicità passata e per ciò stesso perduta, e quindi non ci
rimane altro che la speranza per una futura felicità in Cristo, mi viene
fatto di domandarmi quale vita ci aspetti se non quella di una mera attesa.
Ed ancora, poiché la perdita
subita è connaturata con la vita stessa, e perciò stesso ineluttabile, solo “la nostalgia” caratterizza la vita che
il Creatore ci ha donato?
Ma questa abbiamo visto che si riferisce alla felicità perduta, ma se è così
come si concilia con la inimmaginabile felicità
che Cristo ci ha promesso?
Esistono forse due tipi di
felicità dopo la morte ?
Oppure quella che Cristo ci ha
promesso annulla nella sua totalità quella
“ nostalgia” che caratterizza la nostra vita?
In altre parole ci annulleremo in
quella?
Ma se è così l’omelia del
celebrante era errata e la nostalgia di
cui parlava era destinata a non essere esaudita.
Ma questa conclusione si pone in
assoluto contrasto con l’amore del
precetto “chiedete e vi sarà dato”.
La sera con il mio Angelo ho
espresso quelle conseguenze che a mio parere potevano derivarne dalle parole
del celebrante, per averne il suo parere.
“ Non ho dubbi” ho esordito “Che
qualunque felicità ci derivi da Cristo quale atto d’amore nei nostri confronti,
perché la felicità è uno stato dell’anima, o forse addirittura una sensazione,
e come tale non può e non deve essere confusa con la materialità dei fatti o
degli spettacoli che l’hanno resa possibile in noi.
Infatti quegli stessi fatti o spettacoli vissuti da un altro soggetto,
ovvero da noi stessi in un altro momento, potrebbero non avere lo stesso
effetto.
Uno stato dell’anima, non solo personale, ma altresì diverso da quello
precedente e da quello successivo, e quindi, quel che più conta, del tutto
eccezionale rispetto a quello normale.
La domanda, a questo punto inevitabile, riguarda la felicità in se
stessa.
Abbiamo detto che è uno stato dell’anima, possiamo anche dire che sia
una sensazione, di euforia forse, ma di
che tipo?
Di certo quella che ci conduce “fuori di noi”,
Ma sono tante.
Escluse quelle che incidono riduttivamente sulla nostra coscienza,
perché la sensazione di felicità per essere veramente tale deve essere
cosciente, ché diversamente si tratterebbe di uno stupido annullamento della
propria fisicità.
Dunque: Sensazione = Sentimento ?
Credo di si.
Ma quale?
San Francesco diceva che la perfetta felicità si prova quando,
ritornando di notte in convento dopo una
giornata di freddo, si accetta di buon grado che il portone resti chiuso
a causa del sonno pesante del padre guardiano, rendendo così possibile offrire
al Signore quel piccolo sacrificio.
Dunque: Felicità = Accettazione di sacrifici, e quindi dei dolori? E di
conseguenza offerta al Signore di quelli ?
Nessuno dei due, tuttavia ambedue essenziali.
Nessuno dei due, perché atti volontaristici e quindi che non conducono
ad un “fuori di se”, che mi sembra quale stato essenziale della felicità.
Tuttavia tali atti, per S. Francesco, sono altrettanto essenziali per
quella che si configura così come la ricompensa che il Signore ci da per
l’offerta da noi a Lui fatta.
Ora non c’è dubbio che il Signore ricompensi sempre i sacrifici che gli
vengano offerti in quanto manifestazioni d’amore, ma non credo che tale
ricompensa sia esclusiva solo di quelle offerte, perché assolutamente riduttiva
dell’amore del Signore per le sue creature.
Bisogna ritornare a quel “fuori di noi”, ossia a quel momento in cui ci
liberiamo dai vincoli dello “Spazio/Tempo” in cui la nostra natura fisica ci
costringe.
Perché solo in quel momento, ma sarebbe meglio dire in quell’istante,
perché tale è la sua durata, noi ritorniamo nel grembo del Creatore.
Infatti al di là dello “Spazio/Tempo” esiste solo il Creatore presso
cui , appunto, ritorniamo.
Ma se il nostro è un “ritorno”, ed altro non può essere perché
diversamente si negherebbe la Creazione, tale “ritorno” comporta il
mantenimento di quella specificità, o unicità che ci fu data al momento della
nostra singola creazione, come innegabilmente si desume dalla diversità di ogni
singola creatura nello “Spazio/Tempo”.
Ma se in quel ritorno vengono mantenute le singole specificità e queste
sono quelle che ci costringevano entro lo spazio/tempo, come può verificarsi
quel “fuori di noi” che ipotizzavo come assolutamente necessario per
raggiungere la felicità che Cristo ci ha promesso.?”
“ Il problema che mi hai esposto” prese a dire il mio Angelo “ non è di facile soluzione proprio per quella
costrizione spazio temporale in cui l’umanità, e tu con essa, si trova.
Tuttavia una risposta ti è dovuta per la tua fede.
Ma non sarà la risposta che ti attendi perché non saresti in grado di
comprenderla per via appunto di quella costrizione, quindi ti risponderò con le
parole che Dio stesso ha dettato a Giovanni perché le riportasse
nell’Apocalisse precisandogli: “ Non
sigillare le parole della profezia di questo libro, poiché il tempo è vicino”.
E Giovanni dopo aver visto scendere dal cielo la Santa Gerusalemme udì
le parole del Signore che dicevano: “ Ecco il Tabernacolo di Dio fra gli
uomini. Egli abiterà con loro, essi saranno il suo popolo e Dio stesso dimorerà
con gli uomini. Egli asciugherà ogni
lacrima dai loro occhi.”
Ecco dunque la risposta al tuo problema.
La vita eterna che Cristo ci ha promesso non sarà un ritorno nella
mente del Creatore così da divenire un tutt’uno che, se da un lato annullerebbe
ogni propria singolarità, dall’altro ci farebbe in un certo qual modo partecipi
della sua divinità
Dalle parole riportate da Giovanni si desume chiaramente che dopo la
resurrezione l’eletto manterrà la propria umanità e con essa il proprio passato
tanto che Dio stesso “asciugherà ogni lacrima”, e così tra l’altro ritroverà
quel “felice passato” di cui in vita aveva provato nostalgia.
Non vi sono due specie di felicità, quella di un felice passato e
quella inimmaginabile del ritorno presso il Creatore, perché la prima altro non
è che una ulteriore manifestazione dell’Amore di Dio per tutte le sue creature.
La “felicità” che ci è stata
promessa è dunque quella che Giovanni indica nella vita eterna che ogni singolo
eletto vivrà con Dio nella Santa Gerusalemme, mantenendo ogni singolarità così che queste nel loro
insieme saranno “ il suo popolo”.
Come vedi non ha senso domandarsi come o quale sia “in pratica” questa
felicità perché la santa Gerusalemme non soffre alcuna costrizione e quindi
tale termine non ha alcun senso.
A quella domanda, così umana peraltro, potrà rispondere solo la tua
fede e non la tua ragione, come in effetti tu vorresti.
“E più non dimandare.”