domenica 27 novembre 2022

Domande

 





Rileggendo il racconto “ L’Angelo Caduto” giunto al capitolo “ La fine”, nel quale Lucifero, dopo aver riaffermato il proprio rifiuto all’Amore di Dio e prima di sparire per sempre sotto la spada dell’Arcangelo Michele, ode la voce di Giovanni che in chiusura de “L’Apocalisse” pronuncia l’ultima visione.

Allora vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da presso Dio, pronta come una sposa, abbigliata per il suo sposo.
Ed udii venire dal trono una gran voce che diceva.
< ecco il Tabernacolo di Dio tra gli uomini! Egli abiterà presso di loro; essi saranno il suo popolo e Dio stesso dimorerà con gli uomini. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non vi sarà più morte, né lutto, né grido, né pena esisterà più, perché il primo mondo è sparito.>”

Chiudevo quindi il racconto con questa frase:
“ E quando la voce tacque si accorse che anche lui stava sparendo per sempre.”

Rileggendo, come ho detto, il racconto ho sentito di proseguire così quell’ultima frase:
“ma quel che più conta, comprese, nell’ultimo istante, che l’Amore di Dio gli aveva risparmiato quello “Stagno di fuoco e zolfo” dove Giovanni aveva predetto che sarebbe stato tormentato nei secoli dei secoli.
Perché in quell’ultimo istante comprese che Dio aveva così ultimato la Creazione del “Primo mondo” e con quello spariva anche l’Angelo che lui era stato, quando fu scaraventato sulla terra”.

Ma ora, caro Angelo, mi e ti domando se con quell’ultima aggiunta ho inteso dire che la Creazione non si è ultimata “il sesto giorno”, bensì con la vittoria definitiva sul Male come ha predetto Giovanni.
E che con la scomparsa del “ primo mondo” sarebbe scomparso pure l’Inferno con tutti i peccatori?
Ma questa scomparsa in definitiva non si configurava quale annullamento delle pene alle quali erano stati condannati?
Ma costoro erano esistiti oppure con la loro scomparsa veniva cancellata anche la loro esistenza?
E allora perché Giovanni dichiara che Dio “asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”?


Speranza

 




Nell’omelia della Messa richiesta da un mio amico in memoria della moglie morta l’anno precedente, il celebrante ha spiegato come i credenti possano superare o meglio affievolire il dolore per la perdita subita, approfondendo l’affermazione di Cristo, peraltro fondamentale, “Io ero, sono e sarò”. Prendendo le mosse dai concetti di “Nostalgia, Memoria e Speranza” ne indicava la seguente corretta interpretazione.

Nostalgia come il sentimento struggente di un tempo felice passato;
Memoria come la consapevolezza di essere noi stessi la memoria di tutti coloro che, nel bene e nel male, hanno contribuito a farci divenire ciò che siamo, e per ciò stesso di contenere in noi quelli stessi;
Speranza di poter ritornare in quel felice passato;
il celebrante indicava in Cristo e quindi in quella sua affermazione, il superamento del dolore per i più colpiti dalla perdita della persona cara, ovvero della tristezza per gli altri presenti.
Perché, spiegava sempre il celebrante, Cristo “ Era il Signore di quel periodo felice passato, E’ il Signore di questo presente, Sarà il Signore del felice futuro promesso a coloro che credono in lui”

Più tardi ripensandoci su, pur concordando in toto con quelle conclusioni , non potei fare a meno di rilevare:

1°- che, seppure la “memoria” siamo noi stessi, ciò vale per gli altri che in noi ritrovano aspetti e comportamenti che furono delle persone scomparse, ma non per noi che di quelle sentiamo dolorosamente la mancanza;
2°- che proprio quel dolore che ci attanaglia non ci consente di provare quella “nostalgia”di un tempo felice passato, perché questa, come giustamente osservava il celebrante, è un sentimento struggente che però , a mio parere, non è mai doloroso, e di conseguenza impedisce ogni altro sentimento;
3°- che solo attraverso un atto di Fede nell’eternità di Cristo, che “era” quando eravamo felici, “è” nell’odierno momento doloroso, e “sarà” quando ci riuniremo in Lui ritrovando la passata felicità, saremo in grado di superare quel dolore per la perdita subita, trasformandolo in nostalgia.

Ma allora, se solo attraverso la Fede è possibile superare quel dolore e ciò che si raggiunge è solo la nostalgia, ma questa è quel sentimento struggente per una felicità passata e per ciò stesso perduta, e quindi non ci rimane altro che la speranza per una futura felicità in Cristo, mi viene fatto di domandarmi quale vita ci aspetti se non quella di una mera attesa.
Ed ancora, poiché la perdita subita è connaturata con la vita stessa, e perciò stesso ineluttabile, solo “la nostalgia” caratterizza la vita che il Creatore ci ha donato?
Ma questa abbiamo visto che si riferisce alla felicità perduta, ma se è così come si concilia con la inimmaginabile felicità che Cristo ci ha promesso?
Esistono forse due tipi di felicità dopo la morte ?
Oppure quella che Cristo ci ha promesso annulla nella sua totalità quella  “ nostalgia” che caratterizza la nostra vita?
In altre parole ci annulleremo in quella?
Ma se è così l’omelia del celebrante era errata e la nostalgia di cui parlava era destinata a non essere esaudita.
Ma questa conclusione si pone in assoluto contrasto con l’amore del precetto “chiedete e vi sarà dato”.

La sera con il mio Angelo ho espresso quelle conseguenze che a mio parere potevano derivarne dalle parole del celebrante, per averne il suo parere.
Non ho dubbi” ho esordito “Che qualunque felicità ci derivi da Cristo quale atto d’amore nei nostri confronti, perché la felicità è uno stato dell’anima, o forse addirittura una sensazione, e come tale non può e non deve essere confusa con la materialità dei fatti o degli spettacoli che l’hanno resa possibile in noi.
Infatti quegli stessi fatti o spettacoli vissuti da un altro soggetto, ovvero da noi stessi in un altro momento, potrebbero non avere lo stesso effetto.
Uno stato dell’anima, non solo personale, ma altresì diverso da quello precedente e da quello successivo, e quindi, quel che più conta, del tutto eccezionale rispetto a quello normale.
La domanda, a questo punto inevitabile, riguarda la felicità in se stessa.
Abbiamo detto che è uno stato dell’anima, possiamo anche dire che sia una sensazione,  di euforia forse, ma di che tipo?
Di certo quella che ci conduce “fuori di noi”,
Ma sono tante.
Escluse quelle che incidono riduttivamente sulla nostra coscienza, perché la sensazione di felicità per essere veramente tale deve essere cosciente, ché diversamente si tratterebbe di uno stupido annullamento della propria fisicità.
Dunque: Sensazione = Sentimento ?
Credo di si.
Ma quale?
San Francesco diceva che la perfetta felicità si prova quando, ritornando di notte in convento  dopo una giornata di freddo, si accetta di buon grado che il portone resti chiuso a causa del sonno pesante del padre guardiano, rendendo così possibile offrire al Signore quel piccolo sacrificio.
Dunque: Felicità = Accettazione di sacrifici, e quindi dei dolori? E di conseguenza offerta al Signore di quelli ?
Nessuno dei due, tuttavia ambedue essenziali.
Nessuno dei due, perché atti volontaristici e quindi che non conducono ad un “fuori di se”, che mi sembra quale stato essenziale della felicità.
Tuttavia tali atti, per S. Francesco, sono altrettanto essenziali per quella che si configura così come la ricompensa che il Signore ci da per l’offerta da noi a Lui fatta.
Ora non c’è dubbio che il Signore ricompensi sempre i sacrifici che gli vengano offerti in quanto manifestazioni d’amore, ma non credo che tale ricompensa sia esclusiva solo di quelle offerte, perché assolutamente riduttiva dell’amore del Signore per le sue creature.
Bisogna ritornare a quel “fuori di noi”, ossia a quel momento in cui ci liberiamo dai vincoli dello “Spazio/Tempo” in cui la nostra natura fisica ci costringe.
Perché solo in quel momento, ma sarebbe meglio dire in quell’istante, perché tale è la sua durata, noi ritorniamo nel grembo del Creatore.
Infatti al di là dello “Spazio/Tempo” esiste solo il Creatore presso cui , appunto, ritorniamo.
Ma se il nostro è un “ritorno”, ed altro non può essere perché diversamente si negherebbe la Creazione, tale “ritorno” comporta il mantenimento di quella specificità, o unicità che ci fu data al momento della nostra singola creazione, come innegabilmente si desume dalla diversità di ogni singola creatura nello “Spazio/Tempo”.
Ma se in quel ritorno vengono mantenute le singole specificità e queste sono quelle che ci costringevano entro lo spazio/tempo, come può verificarsi quel “fuori di noi” che ipotizzavo come assolutamente necessario per raggiungere la felicità che Cristo ci ha promesso.?”

“ Il problema che mi hai esposto” prese a dire il mio Angelo “ non è di facile soluzione proprio per quella costrizione spazio temporale in cui l’umanità, e tu con essa, si trova.
Tuttavia una risposta ti è dovuta per la tua fede.
Ma non sarà la risposta che ti attendi perché non saresti in grado di comprenderla per via appunto di quella costrizione, quindi ti risponderò con le parole che Dio stesso ha dettato a Giovanni perché le riportasse nell’Apocalisse precisandogli: “ Non sigillare le parole della profezia di questo libro, poiché il tempo è vicino”.
E Giovanni dopo aver visto scendere dal cielo la Santa Gerusalemme udì le parole del Signore che dicevano: “ Ecco il Tabernacolo di Dio fra gli uomini. Egli abiterà con loro, essi saranno il suo popolo e Dio stesso dimorerà con  gli uomini. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi.”
Ecco dunque la risposta al tuo problema.
La vita eterna che Cristo ci ha promesso non sarà un ritorno nella mente del Creatore così da divenire un tutt’uno che, se da un lato annullerebbe ogni propria singolarità, dall’altro ci farebbe in un certo qual modo partecipi della sua divinità
Dalle parole riportate da Giovanni si desume chiaramente che dopo la resurrezione l’eletto manterrà la propria umanità e con essa il proprio passato tanto che Dio stesso “asciugherà ogni lacrima”, e così tra l’altro ritroverà quel “felice passato” di cui in vita aveva provato nostalgia.
Non vi sono due specie di felicità, quella di un felice passato e quella inimmaginabile del ritorno presso il Creatore, perché la prima altro non è che una ulteriore manifestazione dell’Amore di Dio per tutte le sue creature.
La  felicità” che ci è stata promessa è dunque quella che Giovanni indica nella vita eterna che ogni singolo eletto vivrà con Dio nella Santa Gerusalemme, mantenendo  ogni singolarità così che queste nel loro insieme saranno “ il suo popolo”.
Come vedi non ha senso domandarsi come o quale sia “in pratica” questa felicità perché la santa Gerusalemme non soffre alcuna costrizione e quindi tale termine non ha alcun senso.
A quella domanda, così umana peraltro, potrà rispondere solo la tua fede e non la tua ragione, come in effetti tu vorresti.
“E più non dimandare.”


sabato 19 marzo 2022

La perfezione di Dio

 


Una mia amica mi aveva fatto leggere un mini racconto che girava sulla rete, e che poneva la domanda quale fosse perfezione di Dio.

Il raccontino in questione narrava di un ragazzino minorato fisicamente che, assistendo ad una partita di baseball tra ragazzi, domandava al padre se quei ragazzi lo avrebbero fatto giocare nonostante che il suo handicap motorio lo rendesse palesemente inadatto.
Alla richiesta del padre uno dei giocatori rispose che essendo la sua squadra destinata inequivocabilmente a perdere l’incontro, ben volentieri avrebbe fatto entrare il  ragazzino.
Il lancio della palla che  il “lanciatore” della squadra avversaria effettuò fu di estrema facilità  ed il ragazzino, peraltro aiutato da un suo compagno, riuscì a colpirla seppure con scarsissima forza, tanto che questa volò lentamente verso la prima “base”.
Mentre il ragazzino arrancava faticosamente verso quella base  ove la palla stava viaggiando con molto anticipo su di lui, e quindi la presa del giocatore avversario lo avrebbe eliminato, questi incredibilmente se la fece scappare dalle mani, consentendo così al ragazzino di conquistare quella prima base.
A quel punto i compagni di squadre urlarono al ragazzino di proseguire la sua corsa verso la seconda base che peraltro, data la sua lentezza motoria, non avrebbe sicuramente raggiunto prima dell’arrivo della palla che il giocatore di prima base avrebbe dovuto lanciare con tutta la forza possibile a quello della seconda.
Sennonché, senza una ragione tattica apparente, la prima base lanciò la palla con estrema lentezza tale da consentire al ragazzino di raggiungere la seconda base prima della palla.
Da questa, obbedendo agli incitamenti che ormai tutti i giocatori delle due squadre gli urlavano, il ragazzino proseguì la corsa verso la terza base ove, come era già avvenuto per la precedente, giunse prima della lenta palla che anche la seconda base aveva lanciato.
Ormai sia da parte dei giocatori tutti che dagli spettatori era un urlato incitamento per il ragazzino a proseguire la sua faticosa corsa. Questa terminò con il raggiungimento dell’ultima base e la conseguente vittoria della sua squadra.
Raggiungimento che veniva acclamato con grida gioiose  di tutti i presenti sia giocatori che tifosi delle due squadre in campo, e con  assoluta felicità del ragazzino, che piangendo si unì a quelle urla.
Questa, concludeva il racconto, era la “Perfezione” che Dio cerca in noi.

La sera però ripensando a quel raccontino, pur essendo totalmente d’accordo con la risposta conclusiva circa la perfezione cui dobbiamo tendere, mi sembrava, in ultima analisi, che non avesse risposto alla domanda iniziale che concerneva la “Perfezione di Dio” e non quella cui noi dobbiamo tendere.
Alzatomi dal letto trovai il mio Angelo che già mi aspettava in salotto.

“Vedi Gian Carlo” esordì lui prima ancora che io gli esponessi il mio dubbio “ la tua sensazione circa la mancata risposta alla domanda iniziale non è giusta.
Il racconto voleva  indicare  solo come la perfezione sia facilmente raggiungibile, contrariamente a quanto si pensa, e quale sia quella che il Signore vuole che noi cerchiamo.
Ovverosia l’amore incondizionato per il nostro prossimo.
E questo amore non richiede grandi sacrifici, ma solo totale dedizione, e questa a sua volta può manifestarsi anche per il limitato tempo di un fine partita di baseball, ma in quel limitato tempo si può raggiungere la perfezione.
E così raggiungere quella perfetta felicità, che tutti i presenti hanno provato nell’istante in cui il ragazzo ha raggiunto l’ultima base.
Perché è di tutta evidenza che la discesa in campo di quel ragazzino aveva suscitato un’ondata di sincero affetto nei suoi confronti, cancellando quella pena che indubbiamente aveva suscitato il suo faticoso arrancare verso la sua postazione di gioco.
Ed è stata proprio la purezza di quel comune sentimento d’amore che ha consentito loro di provare un istante di assoluta felicità nel momento in cui il ragazzino conquistava l’ultima base.
Perché la felicità è un dono che il Signore fa a tutte le creature che seguono il suo comandamento d’amore per il prossimo.
Ma la purezza di quel sentimento comune nasceva anche dalla inconfessata certezza che il Signore avrebbe esaudito ciò che tutti speravano: la vittoria del ragazzino sul suo grave handicap.
Un atto di fede dunque nella bontà divina  che aveva fatto in modo da consentire a quel ragazzo ciò che mai più avrebbe pensato di poter ottenere: giocare e vincere per merito solo suo una partita di baseball. Fede ed amore quindi che meritavano la felicità da tutti provata.

Ma  veniamo alla domanda iniziale.
A te è sembrato che il racconto non abbia risposto alla domanda circa la perfezione di Dio. Ma non è così, il racconto ci dice che indistintamente tutti coloro che erano presenti presero parte alla corsa del ragazzo, e quel che più conta lo fecero anche i tifosi della squadra avversaria con gli stessi giocatori, ben sapendo che in tal modo avrebbero perso la gara, tuttavia i primi lo incitarono ed i secondi lo aiutarono lanciando palle lente per dargli il tempo di giungere alle successive basi.
Il perché di simile comune comportamento, lo abbiamo visto, si spiega con l’improvviso amore che tutti provarono per il ragazzo ed ancor più col desiderio di dargli una felicità che, dato il suo stato fisico, non era assolutamente raggiungibile, e per ciò stesso inimmaginabile.
E quando lui raggiunse l’ultima base e con essa la perfetta felicità, tutti ne furono partecipi.
Ebbene in quell’istante,  così come il ragazzo si era liberato da tutti i tremendi vincoli a cui il suo corpo handicappato lo legava, altrettanto avveniva per tutti i presenti.
In altre parole tutti si erano liberati della materialità del proprio corpo per raggiungere la totale spiritualità della felicità che stavano provando.
Si erano dunque trasformati in puro spirito, quindi fuori dai vincoli di spazio e  tempo in cui la mente umana è in grado di pensare.  
Per un istante dunque la felicità che provarono  aveva liberato il loro spirito che naturalmente era ritornato a far parte del Tutto da cui era uscito con la Creazione.
Ti domando allora Gian Carlo, qual è la risposta alla domanda iniziale che si desume da quel racconto?”

Per un momento rimasi interdetto perché la risposta che mi veniva alla mente era inconcepibile: qual era la perfezione di Dio?, ed a me pareva di saperlo.
“La felicità” risposi titubante “ Perché quel racconto ci dice che l’essenza di Dio è uguale a quella perfetta felicità che tutti i presenti a quella partita provarono seppure per un istante”
Poi aggiunsi: “ Credo infatti che  lo sconosciuto autore di quel racconto abbia avuto una ispirazione divina, perché, come nelle parabole, il senso profondo è celato sotto l’apparenza del semplice racconto.
Infatti l’iniziale sensazione era quella che alla domanda principale non fosse data risposta, e solo attraverso la “Logica” del tuo discorso  l’ho potuta intendere.
Ma quella “Logica” mi riporta al Vangelo di Giovanni  che nell’originaria stesura greca inizia  con la frase : “In principio era il LOGOS ed il LOGOS era presso Dio e Dio era il LOGOS”.
Se è così il VERBO ha nuovamente parlato attraverso la moderna parabola che quello sconosciuto autore ci ha raccontato  e che tu mi hai svelato.